Perché ho scelto di non essere sempre positiva

E di fare pace con l'avversione

CRESCITA PERSONALE

Ludovica Fanelli

7/11/20253 min read

smiley ball
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Ogni tanto qualcuno mi scrive dicendo:
“Wow Ludo, mi ispiri un sacco! Sei sempre così positiva!”

E lì mi viene voglia di rispondere:
“No guarda, forse mi hai confusa con qualcun’altra. Io non sono sempre positiva. Io sono sopravvissuta alla positività. È diverso.”

Perché sì, ci ho provato anch’io.
Ho provato a svegliarmi alle 5 del mattino per meditare.
Ho provato a scrivere ogni giorno tre cose per cui essere grata (una volta ho scritto: sono grata di avere due reni funzionanti solo per riempire la pagina).
Ho provato a rispondere con un sorriso a gente che si meritava il mio silenzio stampa.
E sai cosa ho scoperto?

Che la crescita personale, quella vera, non è una vetrina sui social.
È più simile a un garage disordinato.
Pieno di cose rotte, strumenti arrugginiti e una radio che gracchia ogni volta che provi a cambiare frequenza.

Il mito della positività 24/7

Viviamo in un’epoca in cui la tristezza dà fastidio. La rabbia va zittita. Il dubbio è visto come una debolezza e non come una domanda onesta.
Ci hanno detto che dobbiamo “vibrare alto”, “manifestare l’abbondanza”, “credere nell’universo”.

Sì, ok. Ma l’universo ha risposto? O è finito in spam?

Ecco, io a un certo punto mi sono stufata di dovermi sentire meglio a tutti i costi.
Di fingere che andasse tutto bene, quando in realtà avevo solo voglia di starmene a letto con una pizza e un silenzio terapeutico.

Ho cominciato a chiedermi:
👉 E se smettessi di sforzarmi di “pensare positivo”?
👉 E se provassi a stare anche con quello che non mi piace?
👉 E se l’avversione non fosse un nemico da combattere, ma un messaggero da ascoltare?

Spoiler: è lì che è iniziata la vera crescita personale.
Non quella patinata, da copertina.
Quella fatta di domande scomode, piccole verità che bruciano e qualche parolaccia liberatoria.

La trappola del miglioramento continuo

Ti sei mai sentito in difetto anche mentre cercavi di “migliorarti”?
Tipo quando inizi un percorso di crescita e invece di stare meglio ti senti in colpa perché non stai migliorando abbastanza velocemente?

È la trappola della performance applicata all’anima: non basta più essere, bisogna anche essere meglio — ma senza mai sbagliare, senza mai lamentarsi, e possibilmente sorridendo.

No.
Io non ci sto.

La crescita personale non è diventare una versione potenziata di te stesso come se fossi un’app da aggiornare. È piuttosto smettere di combattere con chi sei adesso.

E quando ho fatto pace con questa idea, ho deciso di scriverci un libro sopra.
Un libro per quelli che si sentono sempre un po’ fuori posto nei gruppi di “anime evolute”.
Un libro per quelli che non si sentono ispirati dalle frasi motivazionali stampate sulle tazze, ma dalle conversazioni vere — anche se scomode.

Nasce così Crescita personale per cani e porci.
Un titolo brutale? Forse.
Ma è anche un invito: se sei stanco di sentirti inadeguato perfino nel tuo percorso di crescita, questo libro è per te.

L’importanza di fare pace con l’avversione

L’avversione è una bussola.
Ti segnala ciò che ti pesa, ti stringe, ti toglie respiro.

Ma noi, invece di ascoltarla, la reprimiamo.
Per educazione. Per paura. Perché “non si fa”.
E intanto diventiamo contenitori pieni di no ingoiati, di sì detti controvoglia, di sorrisi tirati come la pelle dopo una ceretta sbagliata.

Fare pace con l’avversione significa smettere di giudicare certe emozioni come “negative”.
Significa dare spazio anche al fastidio, alla noia, all’incazzatura.
Non per restarci dentro, ma per capirci qualcosa.
Perché tutto quello che evitiamo di sentire ci torna addosso, prima o poi — spesso sotto forma di gastrite o persone tossiche.

Il diritto sacrosanto di dire “mi sta sul ca**o”

Sì, lo dico così.
Perché a volte bisogna imparare a dire le cose senza per forza renderle “accettabili”.
Quella situazione mi sta sul ca**o.
Quella persona mi fa salire la bile.
Quel lavoro non lo sopporto più, anche se è “sicuro”.

Dillo.
Con rispetto, se vuoi. Con ironia, se ti viene. Ma dillo.

La crescita non arriva quando impari a tollerare tutto.
Arriva quando impari a riconoscere cosa non fa per te e a darci un nome.
Arriva quando ti scegli — anche a costo di sembrare meno spirituale e più umano.

E quindi? Che si fa?

Si fa che ti prendi il permesso di essere come sei, anche quando sei incasinato.
Si fa che smetti di rincorrere l’illuminazione e inizi a sederti nel buio con una candela accesa, anche se traballa.
Si fa che ti concedi una crescita personale che non ha bisogno di approvazione, ma solo di verità.

Io non ti insegnerò a diventare una persona “di successo”.
Ti accompagno, se vuoi, a diventare una persona in pace con se stessa.

Che è molto di più.

Se ti è piaciuto questo articolo…

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Un saggio semiserio per smontare miti, ridere dei nostri drammi, e ritrovare il gusto di crescere senza diventare degli automi zen.